Al principio della rivoluzione industriale, con l’introduzione delle prime macchine in sostituzione delle braccia umane, si fece impellente l’esigenza di misurare l’esatta quantità di lavoro svolto da un’apparecchiatura meccanica al fine di valutarne l’efficienza economica. Nacque da qui l’idea dell’energia cinetica intesa come energia associata ad un oggetto che sia in grado di compiere un lavoro in forza del proprio movimento.
In termini elementari, per energia cinetica s’intende, dunque, l’energia prodotta da un corpo attraverso il proprio moto. In tal senso si suole contrapporre detta specie d’energia a quella potenziale, all’energia, vale a dire, di cui un corpo dispone in potenza, in quanto sottoposto all’azione di altre forze. Onde chiarire la differenza, si pensi, ad esempio, all’energia prodotta da una bicicletta (corpo in movimento) – tanto evidente da consentire il moto del mezzo e l’accensione della dinamo – in contrapposizione all’energia che possiede un bacino d’acqua trattenuta da una diga. É chiaro che anche in questo caso esiste una forma di energia, seppur latente, poiché pronta a trasformarsi in energia cinetica non appena la diga dovesse cedere.
In fisica si definisce l’energia cinetica come la metà della massa di un corpo moltiplicata per il proprio volume. Tradotto in formula, avremo che
K = ½ m∙v²
dove per K s’intende l’energia cinetica posseduta dal corpo in movimento, per m la massa e per v², il quadrato del volume.
Se, ad esempio, ipotizziamo di avere una palla da bowling che ha una massa di 4 kg ed una velocità di 3 metri al secondo, la sua energia cinetica sarà data da K = ½ m∙v², cioè (½) 4∙ 3² , vale a dire 18.
Tenuto conto di quanto osservato, non è improprio pensare all’energia cinetica coma al lavoro che una forza deve compiere per portare un corpo inizialmente fermo ad una velocità v.