Negli ultimi anni, in totale controtendenza rispetto ad un trend globale, in Italia si torna a parlare di energia nucleare. L’interesse verso questa specie di energia va imputato, in primo luogo, al vertiginoso innalzamento del prezzo del petrolio, di cui siamo grandi importatori, legato un po’ alle oggettive contingenze legate alla risorsa (il progressivo esaurimento dei pozzi, vale a dire), un po’ alla presa di coscienza delle controindicazioni ecologiche – inquinamento atmosferico e delle acque – ma anche economiche connesse all’impiego del petrolio (basti pensare al disastro ambientale che ha colpito il golfo del Messico il 22 aprile del 2010, quando l’affondamento della piattaforma petrolifera della BP ha devastato non solo un intero ecosistema, ma anche l’economia del luogo che si fondava sulla pesca), un po’, infine, il dilagare dei conflitti armati e delle tensioni politiche con grandi paesi importatori quali la Libia, l’Afganistan o l’Iraq. Se questo è il quadro, si dice, è opportuno investire nella ricerca e nell’industria al fine di ottenere un maggiore livello d’indipendenza energetica e l’energia nucleare potrebbe essere una risposta efficace e concreta.
Bene, chiariamo anzitutto che cos’è l’energia nucleare: si tratta di una fonte di produzione energetica che opera mediante un processo detto di “fissione” – una sorta di bombardamento, per i profani – dei nuclei atomici dell’uranio, del plutonio o del torio. L’energia sprigionata dalla fissione verrà quindi convertita in energia elettrica all’interno di speciali centrali (le centrali termonucleari) dotate di appositi impianti di trasformazione noti con il nome di reattori. Indubbi benefici del ricorso ad un simile meccanismo di produzione energetica sarebbero l’abbattimento dei costi per l’utenza, una probabile riduzione della presenza nazionale a numerosi conflitti armati con il Medio Oriente e la netta riduzione di immissioni di CO² nell’atmosfera.
Il contraltare, tuttavia, che rende la scelta del nucleare tutt’altro che auspicabile, sarebbe la pericolosità intrinsecamente connessa agli impianti, strutture la cui stabilità non può essere mai del tutto controllata, specie in presenza di situazioni imprevedibili, o quasi (Cernobyl prima, e Fukushima oggi, dovrebbero essere da monito), nonchè i rischi ambientali legati al trasporto e allo smaltimento delle scorie nucleari (che allo stato delle conoscenze scientifiche risultano essere indistruttibili) e all’oggettiva difficoltà di identificare i siti in cui provvedere allo stoccaggio.